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Gli Interventi

Il laboratorio è specializzato nel restauro di terrecotte, restauro maioliche, restauro ceramiche, restauro porcellane, restauro terraglie, restauro ceramiche di Albisola, restauro ceramiche di Torino, restauro ceramiche di Castelli e tutte le tipologie di ceramiche e porcellane antiche e moderne. Gli interventi seguono un attento percorso di analisi che permette di individuare indirizzi differenti a seconda della tipologia, della datazione e dello stato di conservazione del manufatto. Professionalità ed esperienza sono le fondamenta di un corretto intervento di restauro. 

Airone in porcellana manifattura Meissen  J.J.Kaendler – Pinacoteca di Brera, Milano

Prefazione

La porcellana rappresenta l’apice nella fabbricazione delle ceramiche.

Conosciuta fin dall’antichità in Estremo Oriente, fu prodotta in Europa per la prima voltanel 1709 in Sassonia.

II nome deriva dall’italiano “porcella”, denominazione di una conchiglia dall’aspetto  lucido – trasparente.

Probabilmente fu Marco Polo il primo a usare questo termine per indicare i prodotti cinesi di tale tipo.

Nell’impossibilità di dare un’esatta definizione scientifica della porcellana, la si potrebbe definire un amalgama di prodotti in cui si distinguono in modo particolare due principali costituenti: la massa e la vernice.

La massa allo stato di cottura viene denominata coccio; la vernice corrisponde nella sua composizione al vetro.

I componenti fondamentali della porcellana sono:

il caolino, che è una roccia sedimentaria friabile bianchissima

il quarzo, che è un minerale di vastissima diffusione

il feldspato, che si trova (nelle sue varie composizioni) in circa il 60% dei minerali della crosta terrestre.

 

Lo zoo di porcellana

La prima porcellana europea fu fabbricata a Dresda, nel principato di Sassonia, nell’anno 1709. Questa invenzione ebbe una strana origine. II principe Federico Augusto, appassionato cultore d’arte, possedeva una ricca collezione di porcellane cinesi che acquistava attraverso la Compagnia delle Indie.

AI pari di molti altri sovrani europei avrebbe voluto strappare ai cinesi il segreto della loro mirabile porcellana dura; e vi riuscì nel modo più impensato.

Nel 1701 si era rifugiato in Sassonia un tale Johan Friedrich Bóttger, fuggito dalla Prussia dove il re Federico Guglielmo l’aveva incarcerato per assicurarsi la sua opera di scienziato. Infatti il Bòttger, esperto chimico, assieme a un alchimista greco, stava compiendo una serie di esperimenti perla ricerca della famosa “pietra filosofale” che doveva trasformare in oro gli altri metalli. Federico Augusto, venuto a conoscenza di questa sua attività, si affrettò a sua volta a imprigionarlo. Questa era la consuetudine di allora: in mancanza di brevetti industriali ci si assicurava il possesso dell’inventore. Però in questo caso si trattava di un carcere speciale, poiché Bòttger viveva in un grande castello dove disponeva di vasti mezzi per continuare le ricerche.

Finalmente nel 1708, invece della fantomatica pietra filosofale, egli otteneva un materiale dall’impasto durissimo, tipo grès, di colore rosso scuro: era il primo antenato della porcellana. Ma Bòttger, insoddisfatto, continuava gli esperimenti per arrivare alla famosa porcellana dura e candida di tipo cinese.

E vi riuscì in un modo del tutto casuale. Un giormo, esaminando un nuovo tipo di cipria perla parrucca portatogli dal cameriere, s’accorse che quella polvere finissima aveva l’apparenza di un minerale: era infatti caolino purissimo, di cui nelle vicinanze esistevano delle vaste giacenze. Con quella preziosissima materia prima Bòttger il 28 marzo 1709 presentava alla Cancelleria di Corte la prima porcellana dura fabbricata in Europa.

Augusto il Forte elettore di Sassonia, personaggio stravagante e determinato ordinò alla fabbrica Meissen la realizzazione  di un vasto gruppo di animali per arredare il piano superiore del Palazzo Giapponese di Dresda.

L’ambizione del progetto rimane senza precedenti nella storia della porcellana: la realizzazione di questi animali di grandi dimensioni è avvenuta in soli 20 anni  dalla  fondazione della fabbrica di Meissen cioè intorno al 1730.

Sino ad allora erano  state realizzate poche opere  di grosse dimensioni e piccole produzioni  scultoree.

Secondo  un elenco del  1734 erano state progettate per il palazzo  597 sculture tra  animali ed uccelli.

La maggior parte doveva essere prodotta in edizioni da 8 copie ciascuna, ottenute da stampi ricavati da modelli originali forniti dall’operato del geniale pittore Johann Gregorius Höroldt (attivo per la manifattura tra il 1720 e il 1765) e dello scultore Johann Joachim Kändler (che lavorò a Meissen tra il 1731 e il 1775).

Si realizzarono solo 458 esemplari; il progetto fu abbandonato prima del 1739 per gli alti costi di produzione e l’elevata quantità di opere  prodotte con molteplici difetti, il primo dei quali era in assoluto la rottura durante la cottura.

Intervento di restauro

L’airone che si liscia le penne appartenente alla Pinacoteca di Brera è stato acquistato nel 1978 per prelazione in esportazione, ma non è mai stato esposto per il precario stato di conservazione. Un vecchio cartellino ne attesta una pregressa proprietà Pandolfini, da identificarsi forse con la nobile famiglia fiorentina o con quella palermitana.

Si tratta di una rara statua in porcellana bianca alta circa 75 centimetri, il cui modello era stato ideato da Kandler nel 1732.

Lo stato di conservazione, prima dell’intervento, era molto compromesso: una patina polverulenta ricopriva totalmente l’opera.

Sulla base era visibile un datato restauro  con molteplici incollaggi   e scadenti integrazioni che riguardavano alcuni artigli, una parte del becco e l’ultimo tratto del pennacchio.

L’intervento di restauro è iniziato il 7 settembre 2009, grazie ad un finanziamento di Pirelli s.p.a.

Dopo avere trasportato l’opera presso il laboratorio è iniziata la  prima fase dell’intervento : la pulitura.

La  rimozione  del deposito superficiale  è iniziata  spolverando l’opera con un pennello e successivamente con batuffoli di ovatta imbevuti con  detergente non aggressivo.

Terminata questa operazione sono stati scollati i vari frammenti con impacchi d’ acqua deionizzata tiepida  e sono state eliminate le precedenti ricostruzioni.

Le tracce del collante di origine animale lungo le fratture  sono state eliminate meccanicamente con l’ausilio di bisturi, acetone ed una leggera sabbiatura con microsfere di cristallo.

Dentro l’incavo del piedistallo era presente un consistente strato di gesso che è stato in parte lasciato come campione per eventuali studi di approfondimento sui metodi  di  realizzazione di queste opere.

Ultimata la fase di pulitura sono emerse tracce di colore in varie zone a testimonianza che l’opera in origine era decorata con colori a freddo.

Le numerose microfratture presenti sono state consolidate mediante infiltrazioni di resina epossidica bicomponente pigmentata a tono, utilizzata anche per incollare i vari frammenti.

La colla fuoriuscita in eccesso è stata eliminata manualmente con lama di bisturi e frese montate su microtrapano.

Le lacune presenti sono state integrate solo parzialmente: la scelta della direzione lavori, dottoressa Mariolina Olivari, vicedirettore della Pinacoteca di Brera, è stata quella d’integrare le mancanze del tratto del becco e del pennacchio, in quanto compromettevano gravemente la visione unitaria della testa dell’animale. Le altre mancanze invece non sono state integrate per evitare ricostruzioni poco fedeli e arbitrarie.

Le integrazioni sono state realizzate in resina epossidica miscelata con gesso; i prototipi sono stati eseguiti con argilla e  duplicati  in resina con uno stampo in silicone.

Le forme cosi’ ottenute sono state adattate all’opera.

L’ ultima fase dell’intervento si è conclusa con l’integrazione cromatica  a tono eseguita utilizzando  l’aerografo, le vernici utilizzate sono state diluite in solvente acrilico.

L’intervento di restauro è stato ultimato nel mese di marzo 2010.

 

Restauro di un pannello in laggioni: Il recupero del guerriero

Nel Museo della ceramica di Savona è custodito un pannello cinquecentesco raffigurate un guerriero; faceva parte di un fastoso rivestimento parietale dell’epoca composto da vari personaggi illustri che ornamentava l’atrio del Palazzo del Carretto (poi Pavese, poi Pozzobonello) di Via Quarda Superiore in Savona.

Pare che, nella produzione ceramica peninsulare del XVI secolo, non si trovino altri esemplari di eguale rilievo. La qualità esecutiva del pannello è davvero alta, tanto che, almeno nella Liguria del Rinascimento, esistono pochi altri esempi che le stiano alla pari. L’incauta rimozione

effettuata nel 1857 dai Padri Missionari Lazzaristi, insediati all’epoca nello stabile che inglobava anche le dimore dei Bardolla e dei Gentile Ricci, fu la causa della dispersione sul mercato antiquario di tutti questi brani.

Le quattro immagini superstiti componevano forse un ciclo di Uomini illustri, documentando, così, anche a Savona la fortuna di un tema molto diffuso in età Umanistica. I soggetti furono attinti dai

Factorum et dictorum memorabilium di Valerio Massimo, dove troviamo appunto Marcello, Scipione (chiunque di quella gens di condottieri costui rappresenti), modelli di amore verso la patria, avendo difeso Roma dai nemici anche a prezzo della vita. L’esaltazione di questa virtù, in Savona, poteva suonare, in quel torno di tempo, come dichiarazione antigenovese. Le altre due figure superstite Marcello e Scipione sono conservate rispettivamente a Torino (Reale Galleria di Palazzo Madama) e a Roma (Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini).

Stato di conservazione

Lo stato di conservazione del pannello si presentava nell’insieme soddisfacente, anche se numerose piastrelle mostravano abrasioni o cadute di smalto ai bordi, mentre uno spacco in corrispondenza dei piedi aveva irrimediabilmente reso indecifrabile la scritta del nome dell’eroe. Un’incongrua

coloritura a freddo rivelava il rifacimento del viso barbuto.

Intervento di restauro

Il pannello, composto da 45 laggioni maiolicati in policromia era inserito in una cornice di legno, sul retro si trovava uno strato piuttosto consistente costituito da gesso, stoppa e crine usati per unire tra di loro le piastrelle; nell’incavo a graticcio era presente un consistente strato di malta usato per

l’ancoraggio al muro nell’originale collocazione.

Un precedente intervento di restauro era localizzato nelle zone di caduta dello smalto; la concentrazione delle integrazioni (effettuate con scagliola, decorata con colori acrilici) riguardava

la maggior parte delle quadrelle compreso il volto del guerriero risarcito con stucco bicomponente e decorato con colori acrilici su sfondo aereografato.

La prima operazione effettuata è stata eliminare la cornice e il telaio di legno che racchiudevano l’opera; successivamente asportare dal retro d’ogni singolo laggione il consistente strato riempitivo

costituito da gesso, stoppa e crine con l’ausilio di microscalpello pneumatico, vibroincisore, ablatore ultrasonico, bisturi e infine una delicata sabbiatura a bassa atmosfera con microsfere

di cristallo.

La pulitura del verso delle piastrelle ha previsto l’uso d’acqua deionizzata allo stato vaporoso e detergente non aggressivo per asportare lo strato polverulento e untuoso che ricopriva la superficie

maiolicata; il precedente intervento è stato rimosso meccanicamente con l’ausilio di bisturi, ablatore ultrasonico e gomme siliconiche montate su microtrapano per delineare con precisione

i bordi originali dalle lacune.

Terminata la fase di pulitura si è proseguito consolidando il verso e le fratture dei laggioni in frammenti, tramite spennellature di resina acrilica consolidante.

Ultimata questa operazione si sono incollati i frammenti con resina epossidica bicomponente per ceramica e, per le cadute di smalto, sono state eseguite infiltrazioni di cianacrilato.

Le integrazioni nelle zone lacunose sono state effettuate utilizzando stucco cellulosico caricato con terre naturali.

Successivamente si è provveduto ad effettuare come risarcimento cromatico, una base neutra con tempera acrilica.

Utilizzando carta da spolvero si è provveduto a riportare la traccia della decorazione a tappeto mancante.

Con la traccia a carboncino si è risarcito a pennello la decorazione mancante secondo il criterio di riconoscibilità dell’intervento.

Su decisione della Direzione Lavori Dott. Massimo Bartoletti responsabile di zona della Soprintendenza per i beni artistici e storici della Liguria, è stata rimossa la precedente integrazione

perché considerata tarda e fantasiosa; la lacuna è stata reintegrata con il colore dell’impasto leggermente sottotono.

Un espositore in plexiglas trasparente (mm 1500 x 950 x 55) è stato utilizzato come nuovo supporto per conservare il pannello; sul pannello di fondo trasparente (mm12) sono stati incollati con resina monocomponente dei prismi di supporto adattati per ogni singolo laggione.

Ultimata la collocazione di tutte le quadrelle si è chiuso l’espositore con un pannello trasparente e si

è appeso a muro tramite una staffa di ferro, nella nuova sede la Pinacoteca di Savona.

(articolo di Barbara Checcucci apparso su “Cose Antiche”, gennaio 2008

 

 

 

 

Grande piatto in maiolica policroma con “Ciro di Persia” Bottega dei Patanazzi Urbino 1585 corredo nuziale dei Duchi D’Este

 

Il restauro del grande piatto del servizio Este-Gonzaga

Negli ultimi anni, il concetto di restauro conservativo sulle opere d’arte, nella fattispecie le ceramiche medioevali smaltate, si è evoluto. Una ventina d’anni fa si riteneva che l’intervento di restauro, doveva limitarsi alla “conservazione” dell’opera. Il restauro delle ceramiche comprende una vasta gamma di manufatti, dalla ceramica preistorica sino alla ceramica contemporanea; per ogni tipologia bisogna effettuare un intervento adeguato.

Per quanto riguarda le ceramiche medioevali policrome cioè quelle decorate a più colori, la tendenza dell’intervento di restauro prevedeva che le lacune fossero integrate utilizzando appositi stucchi a base cellulosica (derivati dalla polpa di cellulosa) della stessa tonalità dell’impasto leggermente sottotono; questo permetteva di evidenziare in modo indiscutibile l’integrazione  dall’originale.

L’intervento non prevedeva un successivo ritocco a colore.

Oggi si cerca di appagare anche il lato estetico; un’opera fittile come la ceramica, esposta al pubblico in un contesto museale, deve essere letta nella sua totale integrità.

Qualche mese orsono ho avuto un’importante esperienza di restauro: il grande piatto del servito Este-Gonzaga del 1579, di proprietà delle Civiche Raccolte di Arte Applicata ed Incisioni del Castello Sforzesco di Milano, raffigurante Ciro di Persia. Quest’opera faceva parte di un fastoso servizio nuziale, prodotto per le terze nozze del Duca Alfonso II d’Este con Margherita Gonzaga. Con questa figura la corte ferrarese visse l’ultima e forse la più splendida delle sue stagioni. Alfonso trascorse gran parte della sua gioventù alla corte francese di Enrico II. Tornò in Italia per sposarsi con Lucrezia de’ Medici il cui ingresso a Ferrara nel febbraio del 1560 diede l’avvio a feste, giochi, rappresentazioni teatrali e recite carnevalesche, che da lì in poi avrebbero connotato ancor più l’immagine splendida di questa città. Furono molti gli artisti protetti dal duca di Ferrara e grande fu il suo amore per la musica. Una speciale attenzione fu dedicata all’arricchimento della Biblioteca Estense, per la quale Alfonso ordinò la ricerca di tutti i volumi pubblicati dal momento dell’invenzione e della diffusione della stampa, in primo luogo i classici greci e latini. Alfonso II ebbe tre mogli legittime e rimase vedovo due volte, purtroppo senza eredi. Morta Lucrezia de’ Medici nel 1561, si risposò prima con Barbara d’Austria, figlia dell’Imperatore Ferdinando I, la quale morì nel 1572, poi con Margherita Gonzaga, figlia di Guglielmo Duca di Mantova e Monferrato, sposata nel 1579.Proprio per questo matrimonio venne eseguito il fastoso servizio da tavola, di cui questo grande piatto ne è l’emblema, con l’iconografia di Ciro il Grande, Re dei Persiani, che prende prigioniero Astiage, Re dei Medi.

Descrizione

Al centro del piatto, nel cavetto, è raffigurata la scena con Ciro di Persia a cavallo, mentre sconfigge Astiage, contornato da altri simboli della mitologia.

Lungo la tesa è presente una decorazione a grottesche: al centro il motto “Ardet Aeternum”.

Prima del restauro

L’opera aveva subito nel tempo diversi interventi di restauro; si presentava in molteplici frammenti incollati tra loro con colle d’origine animale. Le integrazioni delle fratture e delle lacune presenti, erano state eseguite con gesso e colorate successivamente a freddo, con tempere. Il grande piatto è giunto presso il laboratorio di restauro, con quattro frammenti del bordo scollati.

Intervento di restauro

Pulitura dell’oggetto e scollaggio del precedente intervento

Dopo una prima pulitura della superficie, sono state rimosse le precedenti integrazioni, con l’ausilio di bisturi. In seguito il piatto è stato immerso in acqua deionizzata e solvente chetonico. Interessante da osservare, il particolare dei fori su alcuni frammenti; questa tecnica era usata nell’antichità per “cucirli” tra loro con grappe di ferro od ottone.

Sabbiatura dei frammenti

I vari frammenti sono stati sottoposti ad una delicata sabbiatura con microcristalli di vetro per eliminare le ultime tracce di collante rimasto sulle fratture; questa operazione viene effettuata utilizzando una sabbiatrice da laboratorio.

Assemblaggio nelle zone d’origine

L’assemblaggio dei frammenti nelle zone d’origine, permette di capire come iniziare la fase successiva dell’incollaggio.

Aiutandosi con dello schoc si uniscono i vari frammenti l’uno con l’altro.

Incollaggio

L’incollaggio è stato eseguito con resine bicomponenti(collanti epossidici) trasparenti colorate; a catalizzazione avvenuta(dopo circa 24 ore)  la resina fuoriuscita in eccesso è stata eliminata meccanicamente con il bisturi e microtrapano.

Stuccatura delle lacune e degli interspazi tra le fratture

La stuccatura è stata eseguita servendosi di stucchi bicomponenti e cellulosici. Dopo la levigatura, è stato steso con una spugna, uno strato di colore neutro a base di tempera acrilica; l’eccedenza è stata eliminata a bisturi.

Studio della gamma cromatica e integrazione pittorica

Questa è la fase che permette di studiare e, successivamente eseguire, un ritocco sotto tono delle parti integrate. E’ eseguita a pennello; in questo intervento si è scelto di riprendere tutte le zone integrate tranne una parte della decorazione a grottesche della tesa. Terminato il restauro, è possibile ammirare nella sua completezza il grande piatto, senza avere eseguito interventi pittorici arbitrari, nel rispetto dell’opera.

(articolo di Barbara Checcucci apparso su “Cose Antiche”, novembre 2007)